mercoledì 13 ottobre 2010

Il mio incontro con Rinaldo Geleng



   Le pareti della stanza dove lavoro hanno il dono della parola. Non emettono suono ma lo stesso riescono a dire. Lo fanno tramite le foto che stanno appese e che raccontano di incontri, esperienze, date importanti da ricordare. In una di queste foto sono accanto a Rinaldo Geleng, il grande pittore scomparso nel 2003.
   Era da parecchio tempo che non pensavo a quel viaggio a Roma, a quella visita in via Margutta nello studio del celebre pittore, al suo carattere un po’ burbero ma anche tanto disponibile.
   Rinaldo Geleng è stato quasi una leggenda. Era famoso in tutto il mondo, un artista di straordinario talento, un  grande poeta del colore. La sua arte incantava e sorprendeva intenditori e critici. I suoi dipinti a olio, nudi, paesaggi, nature morte, realizzati con pennellate che sembrano fendenti, palesano un controllo pressoché assoluto della materia, e riescono a fissare per sempre sulla tela attimi e raffinatezze di incomparabile essenzialità. Geleng era noto per essere il ritrattista dei VIP. Le più celebri personalità del mondo dello spettacolo, i capi di stato, i politici: tutti sono finiti sotto la punta del suo pennello. Ad esempio l’avvocato Agnelli, Berlusconi, Sophia Loren, Claudia Cardinale, Pavarotti, Clark Gable, Carla Fracci, papa Woityla. Non solo, ma Geleng era anche famoso per avere collaborato a molti dei film di Fellini del quale era amico fraterno.
   Proprio per ricordare Fellini ero andato nello studio di Geleng e lui mi aveva parlato della loro amicizia in modo appassionato. Ne era scaturita un’intervista pubblicata poi sul settimanale CHI, una sorta di ritratto che stavolta il pittore aveva fatto di se stesso usando le parole al posto dei colori e dei pennelli.
   <<Fellini aveva deciso di smettere con il cinema e voleva fare il pittore come me>> mi aveva detto Geleng. <<L’ictus da cui Federico era stato colpito il 3 agosto 1993, gli aveva parzialmente paralizzato il corpo e nonostante la riabilitazione, non si reggeva bene in piedi. Per questo aveva deciso di chiudere con il cinema e desiderava invece dedicarsi all’altra sua grande passione, la pittura. Aveva una certa dimestichezza con il disegno, ma voleva affrontare la pittura seriamente. Per questo aveva affittato un grande studio proprio sotto il mio. “Voglio lavorare vicino a te così puoi darmi consigli e suggerimenti”, mi diceva. Era venuto a vedere lo studio già allestito la domenica mattina 17 ottobre. Era felice. Ma purtroppo, quel pomeriggio fu colpito da un nuovo ictus, rimase in coma fino al 31 ottobre e quella notte morì>>.
   Quando lo conobbi, nel 2001, Geleng aveva 81 anni ma ne dimostrava almeno dieci di meno. Energico, vitale, parlava con enfasi ricordando particolari vecchi anche di cinquant’anni. Durante la nostra chiacchierata non restò mai fermo. Si divideva tra la grande poltrona accanto al calorifero, ai cavalletti dove sostavano i quadri ancora da finire. Ovunque nella stanza tele, pennelli, tubetti di colore, libri, fogli, matite, disegni, ritratti, cornici vuoti, statue.
   <<Fellini aveva grandi doti per fare il pittore, ma non aveva mai avuto tempo per esercitarsi>>, mi disse ancora mentre portava dei ritocchi ad un dipinto. <<Quando doveva prendere appunti, ricorreva ai disegni, agli schizzi. Ha riempito in questo modo migliaia e migliaia di fogli che hanno ora un grande valore. Dal 1960 alla morte, aveva preso l’abitudine di raccontare i suoi sogni con disegni e appunti. E quei disegni, che lui stesso aveva raccolto in diversi volumi, chiamandoli “Il grande libro dei sogni”, sono un vero capolavoro>>.
   Alle pareti dello studio, Geleng teneva tanti ricordi della sua amicizia con il mitico regista. Potevo vedere vecchie fotografie che lo ritraevano con Fellini quando insieme facevano la fame a Roma sognando di diventare famosi. <<Questa è la foto delle mie nozze>>, mi disse il pittore indicando un’immagine ormai sbiadita. <<Sei giugno 1943. Federico è lì, accanto a me, mio testimone di nozze. Lui si sposò cinque mesi dopo, il 30 ottobre, e io fui suo testimone di nozze, mentre per sua moglie, Giulietta Masina, c’era Vittorio Caprioli
   <<La nostra è stata una grande amicizia. In tutte le liete occasioni voleva che festeggiassimo insieme. Quando era tornato a Roma, all’inizio di ottobre, dopo aver terminato la riabilitazione a Ferrara, desiderava tornare a casa sua. Ma, poiché, per sposarsi, doveva servirsi della carrozzella, fu necessario fare delle modifiche alle porte dell’appartamento. Così venne ricoverato al Policlinico. Questo contrattempo lo amareggiò molto. Me lo disse e mi chiese di stargli vicino. Soprattutto di notte. Trascorsi con lui le ultime sette notti che visse su questa terra “cosciente”, e sono ricordi indimenticabili. Federico era perfettamente cosciente. In quelle notti amava soprattutto ricordare il passato, gli anni quando eravamo a Roma, facevamo la fame sognando di diventare qualcuno.
   <<Ci eravamo conosciuto nel 1939. Io disegnavo, portavo i miei lavori a vari giornali, ma che non pagavano mai. Un giorno pensai di andare al "Marc'Aurelio", un giornale umoristico, con delle vignette. Il portiere dello stabile mi disse che il caporedattore sarebbe arrivato alle 14. Era mezzogiorno e decisi di aspettare in strada. Passeggiavo pieno di pensieri e mi fermai davanti a una rosticceria, guardando con l’acquolina i magnifici supplì, che però on potevo permettermi. Ad un certo momento vidi un’ombra dietro di me e sentii una voce che disse: “Quanto hai in tasca?”. Senza girarmi risposi: “Quattro lire”. “E io ne ho due”, disse la voce. “Il piatto costa sei lire, andiamo e dividiamo”. Ci guardammo in faccia. Entrammo ordinando un piatto.
   <<A quel tempo portavo i capelli lunghi. Quell’uomo mi chiese perciò se ero un poeta. Risposi che facevo il pittore e vedendo che anche lui era un “cappellone” gli chiesi a mia volta: “Anche tu sei un pittore?” “No. Sono un poeta”, mi disse.
   <<Quell’uomo era Federico Fellini. Da alcune settimane si era trasferito a Roma con la madre e la sorella, e quella mattina stava andando anche lui al “Marc’Aurelio” in cerca di collaborazioni. Diventammo amici e lo restammo per sempre.
   <<Quel pomeriggio andammo insieme alla rivista. Il caporedattore era Stefano Vanzina, in arte Steno, quello che poi sarebbe diventato regista di tanti film. Ci prese in simpatia e così noi riuscivamo a guadagnare qualcosa. In seguito, facemmo amicizia con altri artisti, in particolare con Alberto Sordi. Alberto lavorava già nell’avanspettacolo, guadagnava dei bei soldini e poteva permettersi di mangiare nei grandi ristoranti. Noi invece andavano in una trattoria ma era proprio di fronte al ristorante dove pranzava Sordi. Andavamo sempre in quel posto per un motivo ben preciso. Con le nostre povere finanze, potevamo permetterci solo una pastasciutta. Ma Sordi, che era il “bello” della compagnia ed era anche famoso ormai, aveva fatto innamorare la cuoca della trattoria. Questa, per fargli un favore, ci faceva sempre trovare una bistecca nascosta sotto la pastasciutta. Ricordo che, passato qualche mese, Sordi ci disse: “Ao’, ragazzi, datevi da fare un poco anche voi. Quella cuoca è brutta come la fame e io non ce la faccio più.
   <<Fellini ricordava questi fatti con grande tenerezza. Aveva il culto per l’amicizia vera, quella nata al di fuori degli interessi e delle convenienze. Per dirti quanto grande fosse la sua amicizia ti racconto questo episodio>>, mi disse Geleng quasi commuovendosi. <<Quando gli venne conferito il quinto Oscar, quello alla carriera nel 1993, mi chiese di accompagnarlo a Hollywood. Dovevamo andare io lui e le nostre mogli. Ma poi sopravvennero difficoltà fisiche. Federico aveva dolori fortissimi e i medici gli proibirono quel viaggio. Gli organizzatori dell’Oscar si arrabbiarono molto e non fu facile convincerli che le difficoltà fisiche di Fellini erano autentiche. Alla fine se ne convinsero e accettarono la situazione. Una sera, mentre io e mia moglie eravamo al ristorante con lui e Giulietta Masina, Federico ci comunicò la nuova decisione, cioè quella che non si andava più ad Hollywood. “Peccato”, disse mia moglie. “Mi avevano detto che per quella manifestazione bisognava avere l’abito da sera bianco o nero e io me lo ero fatto preparare bianco. Pazienza”. Federico la guardò sorridendo e disse: “E allora andiamo”. Così, all’improvviso, aveva deciso che i suoi guai non avevano importanza di fronte alla delusione di mia moglie. Facemmo le valige e partimmo per Hollywood>>.

Roberto Allegri


martedì 12 ottobre 2010

La Fonte dell'Eterna Giovinezza

Da sempre l’uomo sogna di diventare immortale, di vivere in eterno, di riuscire a sconfiggere la morte. Passare indenne attraverso i secoli, sottrarsi alle leggi del tempo, restare giovane fino alla fine del mondo. E’ un tema che ha affascinato i poeti e i romanzieri di tutte le epoche. Ma che ha anche animato viaggiatori ed esploratori perché il segreto dell’immortalità ha, nel corso della storia, preso la forma di una pietra, di un fiore, di un elisir e soprattutto di una fonte. E c’è chi ha solcato i mari e attraversato la foreste alla loro ricerca.
   <<La “Fonte dell’Eterna Giovinezza” non è però un luogo fisico, una località geografica. E neppure un preciso oggetto con poteri straordinari>>, mi ha detto il dottor Marco Berberi, medico e scrittore, conosciuto come uno dei più importanti esperti di alchimia. <<Sono tutti simboli che rappresentano uno stato di coscienza, un’esperienza trascendentale e mistica. Una sorta di illuminazione che solo i grandi maestri iniziati dell’alchimia potevano sperare di raggiungere, e soltanto dopo una vita intera di studio e tentativi.>>
   Conosco il dottor Berberi da anni. Ho scritto su di lui diversi articoli. E’ un personaggio per certi versi curioso. A prima vista appare come un distinto e serioso medico. Ma quando il tema della conversazione volge sull’ignoto e in particolare sull’alchimia, allora si trasforma. Da taciturono si fa estremamente loquace, entusiasta di conversare della sua passione. Dimostra subito una cultura straordinaria. Cita libri, autori, pagine e paragrafi. Si infervora, si agita. E apre di fronte all’interlocutore la porta su di un mondo affascinante e misterioso. Così, per togliermi ogni curiosità sulla leggendaria fontana dell’Eterna Giovinezza, ho pensato di andare a trovarlo nella sua casa di Bologna.
   <<L’illuminazione alla quale giungevano gli alchimisti era uno stato di coscienza particolare e veniva molto spesso raffigurato come una sorgente dalla quale scaturiva acqua limpidissima>>, mi ha spiegato. <<Questa è la ragione per cui la tradizione ha sempre parlato di “Fonte”. Nel Quattrocento, l’alchimista Bernardo Trevisano fu uno dei primi a scrivere di questo argomento nel volume ”Allegoria della Fontana”. Volendo raccontare di come si arriva all’illuminazione alchemica, disse di avere raggiunto la Fontana di notte e di averla trovata circondata da alte mura per impedire alle bestie feroci, cioè le passioni dell’uomo, e alle vacche, cioè il popolo dei profani, di potersi abbeverare. Poi giunge un re, che simboleggia l’iniziato, e solo lui riesce a superare le mura e ad immergersi nell’acqua.
   <<A volte la “Fonte dell’Eterna Giovinezza” è invece raffigurata come un albero>>, mi ha spiegato il dottor Berberi. <<E’ l’Albero della Vita del Paradiso Terrestre da cui, come si legge nella Genesi, scorga un fiume che si divide in quattro dando origine al Pison, al Gicon, al Tigri e all’Eufrate.
   <<Un altro simbolo che per tradizione è strettamente legato alla “Fonte” è l’Unicorno, il leggendario cavallo bianco con un lungo corno in mezzo alla fronte. Detto anche Liocorno, indicava la purezza e la via diritta per giungere alla conoscenza di sé. Nel Medioevo si credeva che il corno di questo mitico animale potesse proteggere da qualsiasi veleno, proprio come si diceva fosse in grado di fare l’acqua della “Fonte”.
   <<Anche il Bastone Alato, il celebre Caduceo, simboleggiava la “Fonte della Giovinezza”. Era il bastone del dio Mercurio, ma prima ancora era il simbolo di Ermete Trismegisto, il mitico progenitore dell'arte magica che donò agli uomini il sapere alchemico.>>
   Ho chiesto al dottor Berberi di spiegarmi cosa si intende per alchimia.
   <<Quando si parla di Alchimia, cioè l’antichissima arte esoterica che risale a prima degli Egizi e che è considerata la Madre di tutte le scienze, la prima cosa a cui si pensa è la famosa “pietra filosofale” in grado di trasformare i metalli in oro>>, mi ha detto. <<Invece l’Alchimia è una complicatissima disciplina, rimasta ancora oggi misteriosa, che ha come obiettivo l’elevazione dell’uomo verso la condizione originaria, cioè quella che possedeva nel Paradiso Terrestre. La leggendaria “Fonte della Giovinezza” simboleggia proprio questo ritorno. I maestri alchimisti insegnavano ai loro discepoli che solo bagnandosi alla “Fonte”, cioè purificandosi da tutto ciò che lo circonda, l’uomo può iniziare il cammino verso la perfezione. Le nozioni giunte fino a noi, ricavate dai testi medioevali oppure scolpite nei rilievi e nelle statue sulle facciate delle cattedrali gotiche – il tutto espresso sottoforma di simboli incomprensibili ai profani e che solamente gli iniziati potevano leggere – parlano di una Fontana che rendeva immortali e che guariva le malattie. Convinti che si trattasse davvero di acqua miracolosa, alcuni esploratori si misero in viaggio nella speranza di scoprire la “Fonte” e vivere così per sempre.
   <<Uno dei primi libri in cui si fa cenno alla “Fonte dell’Eterna Giovinezza” è il celebre “Romanzo di Alessandro”>>, ha continuato a spiegarmi il dottor Berberi. <<Si tratta della raccolta delle gesta di Alessandro Magno, scritta pare dal greco Callistene di Olinto, vissuto tra il 370 e il 327 avanti Cristo. Il libro ebbe molta fortuna nel Medioevo nella versione francese attribuita a Alexandre de Bernay e contribuì alla diffusione della leggenda della “Fonte”. Nel romanzo si racconta che Alessandro Magno attraversò, insieme con il soldato Andreas, la "terra dell'oscurità" situata idealmente nelle foreste dell’Abcasia, nel Caucaso, per cercare proprio la “Fonte dell'Eterna Giovinezza”. Alessandro perse la strada una volta entrato nella foresta ma Andreas riuscì a trovare la “Fonte”, vi si immerse e divenne immortale.
   <<Uno dei più famosi esploratori del passato che dedicò parte della vita alla ricerca della “Fonte” fu lo spagnolo Juan Ponce de Léon. Visse tra il 1460 e il 1521, fu governatore di Portorico e nel 1493 accompagnò Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio nel Nuovo Mondo. Juan Ponce aveva letto il “Romanzo di Alessandro” e si era messo in testa di partire per la ricerca della “Fonte” in grado di sanare qualsiasi malattia. Secondo lui però non si trovava nel Vecchio Continente ma nel Nuovo Mondo da poco scoperto. Salpò nel 1513 e il 2 aprile di quell’anno approdò sulle coste dell’attuale Florida. Fu lui a battezzare quella terra. La chiamò “La Florida” perché, a quanto pare, fu molto impressionato dalla varietà della vegetazione. Nonostante le ricerche però, Juan Ponce non trovò mai quello che stava cercando. Cinquant’anni dopo la sua morte, un marinaio di nome Hernando de Escalante Fontaneda, che in seguito ad una naufragio era vissuto quasi vent’anni tra gli indiani della Florida, scrisse nelle sue memorie che la “Fonte dell’Eterna Giovinezza” si trovava proprio in quelle foreste. Il mistero però rimase insoluto.>>
   Bevendo il caffè, nel suo studio zeppo di libri e riviste, il dottor Berberi mi ha raccontato di persone diventate celebri perché, pare, avessero scoperto come rimanere giovani per sempre.
   <<Molti famosi alchimisti del passato affermavano di avere raggiunto lo stato di “eterna giovinezza”. La Bibbia, ad esempio, parla in più occasioni di persone vissute tre o quattrocento anni. Ma dal Diluvio Universale in poi l’età dell’uomo è andata diminuendo sempre di più proprio perché l’uomo si allontanava dallo stato originario che aveva nel Paradiso Terrestre.
   <<Si racconta che alcuni famosi alchimisti fossero riusciti a rallentare il tempo e tornare alla condizione di Adamo. Uno di questi pare fosse il conte di Saint-German. Uomo di cultura, musicista, pittore e maestro alchimista, pare sia vissuto alla corte di Francia nel Seicento. Di lui si raccontano cose incredibili: che fosse capace di sparire all’improvviso, di apparire nello stesso tempo in luoghi diversi e che potesse vivere in eterno. Sembra infatti che fosse riuscito a scoprire il segreto dell’eterna giovinezza. Ci sono addirittura testimonianze che lo vogliono ancora vivo e aitante alla fine dell’Ottocento cioè oltre duecento anni dalla sua nascita. C’è anche chi dice che sia morto nel 1784 ma il suo corpo non fu mai trovato. La sua tomba venne infatti rinvenuta completamente vuota. La leggenda vuole che ancora oggi, ogni Natale a mezzogiorno, il conte di Saint-German appaia a Roma, seduto su una panchina del Pincio in attesa dei suoi discepoli.
   <<Il famoso alchimista ed esoterista italiano Giuseppe Balsamo conte di Cagliostro affermava di avere duecento anni grazie ad un misterioso elisir. E anche Fulcanelli, misterioso alchimista dei primi decenni del Novecento e di cui nessuno conosce l’esatta identità, pare fosse vissuto per secoli cambiando nome di volta in volta.
   <<Ma oltre che nel “Romanzo di Alessandro”, la “Fonte dell’Eterna Giovinezza” viene citata in altri testi diffusi nel Medioevo. Ad esempio in un “Bestiario” di Filippo de Thaon del 1119 in cui si racconta di una fonte in grado di sanare dai mali. La stessa descrizione appare anche nella “Conquista di Gerusalemme” di Richard le Pelerin del 1200. La canzone epica medioevale “Huon de Bordeaux” colloca la “Fonte” in Arabia mentre un’altra leggenda la vuole nel regno del mitico Prete Gianni.
   <<La “Fonte” ha spesso acceso la fantasia di romanzieri e cineasti. Nel 1933, ad esempio, James Hilton, famoso scrittore e sceneggiatore di Hollywood, scrisse “Orizzonte Perduto”, da cui poi venne tratto un film diretto da Frank Capra. Nel romanzo viene descritto “Shangri La”, un luogo misterioso nascosto tra le vette dell’Himalaya dove il tempo si è fermato e la gente vive per sempre.
   <<Di recente, nel 2006, il regista Darren Aronofsky ha diretto “The Fountain – L’albero della Vita”, con Hugh Jackman. Il film, presentato alla 63esima Mostra del Cinema di Venezia, narra le vicende di un uomo che per salvare la moglie malata si mette alla ricerca del segreto dell’immortalità.
   <<In Bretagna, vicino a Rennes, si trova la foresta di Paimport che nel Medioevo era molto famosa per essere stata la protagonista del romanzo “Yvain il cavaliere del Leone” di Chrétien de Troyes. Nella foresta, si legge nel libro, si troverebbe la tomba di mago Merlino, il celebre precettore di Artù, e anche la Fontana dell’Eterna Giovinezza. Nella foresta una fonte esiste realmente. E’ molto antica e nelle sue vicinanze i Celti vi praticavano misteriosi riti.>>
Roberto Allegri

Albano Carrisi: Dio è la mia forza

Conosco Albano Carrisi da quando sono nato. Proprio così, dato che Albano è stato padrino al mio battesimo. Sono cresciuto imparando a vederlo non come la star della musica leggera ma come una persona di famiglia. Quando ero un ragazzino trascorrevo a casa sua almeno tre mesi l’anno. Ho sempre chiamato “nonni” i suoi genitori. La grande e famosa tenuta di Cellino San Marco è stata per me scenario di avventure e di crescita. E’ sempre stata un pezzetto di “casa”.
   Ho scritto con Albano due libri di successo, entrambi pubblicati da Mondadori. Rappresentano la sua completa biografia, la sua storia e quella della sua musica. I suoi sogni e i suoi drammi.
   Nel corso della lavorazione ai libri abbiamo parlato di tante cose. Anche molto personali. Uno di questi è il rapporto con la religione o meglio con la fede. Affrontare l’argomento “Dio” con Albano è difficile ma nello stesso tempo facile. Difficile perché prima si deve entrare in sintonia con lui. Albano non è tipo da sbandierare con leggerezza la propria fede e vuole la sicurezza di essere compreso. Ma è poi facile perché quando decide di parlare di Dio, lo fa con la serietà e la precisione che lo ha sempre contraddistinto, specie nel suo lavoro. Lo fa anche con l’entusiasmo di chi crede veramente e questo lo rende persona speciale, se non rara, in un tempo in cui a parlare della propria fede si prova quasi un senso di vergogna.   Questo è ciò che mi ha raccontato.
   <<Credo profondamente in Dio e non l’ho mai nascosto. Nella mia vita ho affrontato momenti molto duri, alcuni davvero terribili ma la fede mi ha sempre aiutato. Fin dall’inizio della mia carriera, ho messo spesso Dio nelle mie canzoni, perché la fede fa parte quotidiana della mia esistenza. Anzi, credo che ogni cantante dovrebbe parlarne. Non solo, ma ogni politico, ogni personaggio pubblico. Ogni uomo.
   <<La religione è stata sempre per me come un faro. Alla sua luce ho misurato tutta la vita, il successo, le gioie e i drammi. La fede mi è stata insegnata dai miei genitori ed è stata il loro dono più bello. Il mio credere è forte e mi ha aiutato molte volte anche nella mia carriera di cantante. Quando ottieni il successo, è molto facile perdersi. Ma non accade se hai basi solide, se sei stato educato alla scuola dell’umiltà. Con il mestiere che faccio ho viaggiato per il mondo, ho visitato tutti i continenti. E ho potuto anche toccare con mano esempi di fede che mi hanno arricchito.
   <<Sono stato almeno una trentina di volte a Santiago de Compostela. E sono stato anche a Fatima. Ricordo molto bene tutta quella gente che si dirigeva verso il santuario, come un fiume verso il mare. Ho visto tante persone avanzare sulle ginocchia, per penitenza. Ho visto il sangue che avevano sulle gambe. Era una fede potente la loro, che mi ha toccato.  
   <<Ho imparato che la felicità e la sofferenza sono i cardini dell’esistenza umana e che, nella loro forma estrema, possono far perdere l’equilibrio. Essere cristiano però, insegna a capire che esiste un’armonia tra le due cose e che se acquisti l’umiltà riesci ad accettare il bene ma anche il male. E arrivi anche a comprendere che un dolore può portare ad un beneficio inaspettato. E’ la salvezza tramite la sofferenza, il mistero più grande del Cristianesimo attraverso il quale  tutti gli uomini sono uguali.
   <<Ognuno di noi ha momenti di disperazione e di estrema sofferenza. Ed è facile in quei casi dare la colpa a Qualcuno lassù. Però ho scoperto che esiste il conforto nelle pagine del Vangelo e nel simbolo della croce.
   <<Mi capita a volte di riflettere guardando la croce e scopro che i due elementi che la compongono, quello verticale e quello orizzontale, rappresentano proprio la vita e la morte. Quest’ultima, il braccio orizzontale, non è posta in basso ma in alto. Ed è cosa importante perché indica che l’inizio di ogni cosa avviene proprio al momento della fine.
   <<Quando leggi il Vangelo, inizi a capire davvero cosa è il Cristianesimo. Se cominci a pensare che Dio ha sacrificato il proprio figlio per amore dell’uomo, ecco che ti fai delle domande: “Io chi sono per non subire la stessa sorte? E’ capitato a Lui che è Tutto, come posso pretendere che non capiti a me?”. Insomma, nella sofferenza si raggiunge una consapevolezza che aiuta.>>

   Quando Albano parla di sofferenza è impossibile non andare con la mente alla tragedia che lo ha colpito nel 1994, cioè la scomparsa della figlia Ylenia. Nel primo libro che abbiamo scritto insieme, Albano ha voluto rivelare che alla base della scomparsa di Ylenia c’era la droga. Si comprende perciò il suo costante impegno nel combattere questa piaga sociale.
   <<Non è una cosa di cui parlo facilmente. Il dolore di quella perdita rimane sempre a galla e non passa mai. Mi resta l’accettazione cristiana, l’accettare che la vita può durare un giorno, un mese o vent’anni. Io voglio mettere in guardia tutti i genitori perché la droga è un pericolo che può insidiare qualsiasi ragazzo in qualsiasi momento. Mai abbassare la vigilanza. Quando mi hanno chiesto di diventare Ambasciatore dell’ONU contro la droga ho subito pensato a mia figlia. E ho accettato. Sapevo che non c’entravo assolutamente nulla con la diplomazia ma ero anche certo di poter dare il mio contributo contro il dramma della droga, che per me rappresenta davvero la terza guerra mondiale. Faccio il cantante e posso quindi raggiungere un pubblico vasto, in Italia e nel mondo. Credo perciò sia doveroso che attraverso il mio lavoro possa dare avvertimenti e sensibilizzare sul problema. Se il mio essere artista può portare a riflettere chi sta per fare un errore, allora la strada è quella giusta.>>

Roberto Allegri

Lionello Fiumi: un caso letterario da riaprire

C’è una foto che tengo sulla parete di fronte alla mia scrivania. Mi ritrae a due anni, in braccio ad un uomo elegante, i baffi bianchi e i capelli impomatati pettinati all’indietro. Era il 1971. Quell’uomo era Lionello Fiumi, forse il più grande poeta che mi sia capitato di leggere.
   Nato nel 1894, morì qualche anno dopo la foto che sta nel mio studio, nel 1973. In Francia, dove visse per molti anni, era considerato, e lo è ancora adesso, uno dei grandi. Ci furono critici che lo paragonarono a Leopardi. In Italia invece, è quasi sconosciuto.
   Scrivo questo articolo ascoltando la “Gymnopédie n. 1” di Erik Satie, e la musica così densa di tristezza e nostalgia mi pare la più appropriata per ricordare quel vecchio poeta che in qualche modo porto dentro di me. In quel lontano incontro, qualcosa di invisibile si è trasferito da lui a me, forse dentro una carezza o un sorriso. Un qualcosa che è esploso quando, ormai adulto, ho letto i suoi libri di poesie. Quei versi erano frecce di fuoco e colpivano la mia anima.
   La foto di me in braccio al poeta,la scattò mio padre, allora giornalista quarantenne. E proprio nell’archivio di mio padre ho trovato pagine importanti in grado di parlarmi di Fiumi. Perché anche in internet si trova ben poco su di lui, come se il mondo della poesia avesse deciso di lasciare questo scrittore e le sue opere nel quieto oblio dell’indifferenza.
   Mio padre incontrò la vedova di Lionello Fiumi, Beatrice Magnani, pochi mesi dopo la scomparsa del poeta. In quell’intervista, pubblicata sul settimanale “GENTE”, dove mio padre allora lavorava come inviato, la signora Beatrice parla del marito e racconta di come la Francia fu per lui il Paese del riconoscimento. E di come, invece, l’Italia fu quello dell’oblio.
     <<Mio marito>>, si lamentava in quell’articolo la signora Fiumi <<ha dedicato tutta la vita alla divulgazione della letteratura italiana nel mondo, ed è morto completamente ignorato dai letterati dagli ambienti culturali italiani. E' una cosa triste. Ancor più se si pensa che all'estero, soprattutto in Francia, è considerato un grande poeta>>.
    Riferendosi poi alle esequie celebrate qualche settimana prima, aggiungeva: <<Al funerale sono venute le autorità politiche di Verona, i suoi amici veronesi, ma nessun altro. Non sono arrivati né lettere, né telegrammi da poeti o scrittori italiani. Invece, dalla Francia ha telegrafato il ministro francese per gli Affari culturali; il presidente della "Société des Poètes Francais"; André Pézard, del "Collège de France"; Jacques Duron, direttore del Servizio delle lettere al ministero di Stato degli Affari culturali, amico personale di mio marito; professori della Sorbona, accademici di Francia, poeti, letterati, critici, pittori. Il ministro francese per gli Affari culturali ha anche mandato una corona di fiori>>.
   La parole della signora Beatrice Fiumi inquadravano, allora, in modo plastico la situazione, che non è, poi, mai cambiata. Certo, ci sono iniziative nel nome di Lionello Fiumi, ma locali, provinciali. A Roverchiara, in provincia di Verona, c’è una Biblioteca che porta il nome di Lionello Fiumi e l’amministrazione comunale gestisce un Premio di poesia sempre intitolato a Fiumi; A Verona c’è un “Centro Studi Internazionale Lionello Fiumi”, legato alla Biblioteca, e legato anche all’Università di Verona, centro che ha prodotto alcune tesi di laurea, pubblicazione di carteggi. Iniziative lodevoli, ma purtroppo circoscritte, che non hanno cambiato la situazione di questo poeta. Fiumi continua ad essere sconosciuto in patria ed è una vera ingiustizia, perché, come ho detto, la poesia di Liunello Fiumi, a leggerla senza pregiudizi, è di grande, grandissimo valore.
    E lo documentano le prestigiose pubblicazioni, le onorificenze, i giudizi critici di indubbio valore, che riguardarono Fiumi quando lui lavorava in Francia.
   André Pézard, il più famoso italianista di Francia, traduttore di tutta l'opera di Dante in francese, scrisse varie monografie e saggi su Luinello Fiumi. In un saggio, si legge: "In Italia vi è un autore che fin d'ora possiede una grandezza imparentata alla grandezza del Leopardi, e questo autore è Lionello Fiumi".
    Eugène Bestaux, altro famoso italianista francese, scrisse su Fiumi: "Questo poeta è uno dei più grandi, dei più semplici e dei più commoventi che conosca il nostro tempo, uno di quelli che, se la sorte e gli uomini sono giusti, possono essere sicuri di' sopravvivere ".
    Georges Duhamei, Accademico di Francia, scrisse: "Lionello Fiumi è ad un tempo, caso abbastanza raro, un poeta ispirato e un grande servitore delle lettere e della civiltà"
     Nel 1934, il presidente della Repubblica francese, Albert Lebrun, nominò Lionello Fiumi cavaliere della Legion d'Onore. Nel 1940, la poesia di Fiumi venne inclusa fra i temi d'esame per i professori che, alla Sorbona, volevano ottenere l'abilitazione all'insegnamento dell'italiano. Nel 1948, Fiumi fu eletto membro dell'Accademia dei poeti di Parigi. Nel 1954, ricevette, a Parigi, il Grand Priz International de Poésie della "Société des Poètes Français", per la prima volta assegnato a un italiano. Prima di lui, il premio era stato dato a Thomas S. Eliot, Par Lagerkvist, L. Sedar Senghor, e pochi altri poeti di fama mondiale. Alla consegna ci fu un discorso del ministro dell'Educazione, André Marie, ex presidente del Consiglio. Il giorno dopo ci fu un grandioso ricevimento, offerto dalla "Société des Gens de Lettres", il maggiore sodalizio letterario francese, al quale parteciparono i letterati più noti di Francia. A seguito di quel premio, l'anno dopo il presidente della Repubblica, Coty, diede a Fiumi la rosette della Legion d'Onore, distinzione rara per uno scrittore straniero. Nel 1960, Fiumi fu proclamato vincitore del "Premio internazionale Edgar Poe", anche questo assegnato per la prima volta a un italiano. Nel 1962, venne incluso nella celebre collezione Poètes d'aujourd'hui dell'editore Segher, con una monografia dell'italianista Roger Clérici. In quella collezione, dove sono ricordati i più famosi poeti del mondo, l'Italia è rappresentata solo da tre nomi: Leopardi, D'Annunzio e Fiumi.
    Sono documenti che parlano da soli. Forse mai, nessun altro poeta straniero, ebbe in Francia tanti prestigiosi riconoscimenti. E va detto che i francesi non sono teneri con gli stranieri. Quei giudizi, quei premi, Fiumi se li deve aver meritati e sudati.
    Però, nonostante tanta gloria  oltr’Alpe, il poeta veronese non ha avuto quasi nessun riconoscimento in patria.
   Nell’intervista a mio padre, la moglie del poeta se ne lamenta: <<Mio marito ha sofferto molto per questa congiura del silenzio in patria. Non riusciva a capirne le ragioni. Sperava sempre che le cose cambiassero. Ad ogni ricorrenza (cinquant'anni di vita letteraria, sessant'anni dal primo libro di poesie), diceva: "Vedrai che questa volta parleranno di me anche in Italia". E ogni volta era una delusione. In Francia gli facevano grandi feste, i giornali gli dedicavano spazio, interveniva la televisione. In Italia silenzio. Lui accettava con piacere gli omaggi dei francesi, ma fino all'ultimo il suo più grande desiderio fu quello di essere ricordato in Italia.>>
   Va sottolineato anche un altro aspetto  dell’attività di Lionello Fiumi. Non fu solo un poeta, ma anche un solerte e importante divulgatore della poesia italiana. Non pensava cioè solo a se stesso, ma anche ai colleghi. Nel 1928 pubblicò in Francia la Anthologie de la poésie itatienne contemporaine, che ebbe un enorme successo e fu divulgata in tutto il mondo. Era la prima iniziativa del genere per la nostra letteratura. Attra­verso quella antologia, per la prima volta furono fatti cono­scere all'estero poeti come Sa­ba, Montale, Govoni, Corazzini, Folgore, Sbarbaro, Titta Rosa e Palazzeschi. Nel 1933 pubblicò la Anthologie des narrateurs italiens contemporaines, e anche quella fu divulgata in tutto il mondo e fece conoscere all'este­ro, per la prima volta, Moravia, Alvaro, Bontempelli, Panzini, Ojetti, Cicognani, Baril­li, Bacchelli, Comisso, Emilio Cecchi. Nel 1932 fondò una rivista bilingue, scritta cioè in france­se e in italiano, intitolata Dan­te, attraverso la quale continuò a far conoscere decine di scrit­tori, di poeti e prosatori italia­ni. A queste grandi opere, si devono aggiungere gli articoli, le trasmissioni radio in lingua francese, dove parlava sempre della letteratura e dell’arte italiana.
   Nell’intervista a mio padre, la signora Beatrice Fiumi afferma che il poeta conservava nel suo archivio “pacchi di lettere di scrittori e poeti italiani che si raccomandavano a lui” e che lui ha sempre aiutato. Quell’archivio certamente non è andato distrutto. Sarebbe molto interessante ritrovare quelle lettere e farne oggetto di uno studio.  Insomma, è una vera ingiustizia che un poeta tanto stimato all’estero sia completamente dimenticato in patria. Bisogna riaprire il caso letterario Lionello Fiumi.

Roberto Allegri

I segreti delle acque miracolose

L’acqua è uno dei simboli religiosi più importanti ed è un elemento che si trova nei riti di tutte le fedi. Nella liturgia cristiana, è utilizzata nel sacramento del battesimo e nei rituali di abluzioni, benedizioni e purificazioni. Si pensi all’acqua del Mar Rosso che diede la libertà agli ebrei schiavi in Egitto. Oppure a Gesù che venne battezzato nell’acqua del Giordano, e che dopo quel battesimo iniziò la sua missione. Il suo primo miracolo pubblico ebbe a che fare proprio con l’acqua, trasformandola in vino durante un banchetto di nozze. E in seguito, mandò il cieco a lavarsi con l’acqua della fontana di Siloe per riacquistare la vista.
   Anche per altre religioni, l’acqua è elemento sacro. In India, in Giappone, in Indonesia, presso santuari scintoisti, buddisti e induisti vi è il culto dell’acqua benedetta. In India, l’acqua del fiume Gange, il grande fiume che nasce dall’Himalaya e sfocia nel golfo di Bengala, da tempi immemorabili ha fama di avere poteri spirituali. Decine di milioni di persone vanno in pellegrinaggio al Gange per bagnarsi e bere l’acqua del fiume. Spesso si tratta di malati, con piaghe infette e purulente, ma nessuno pare abbia ha mai contratto malattie dal contatto con l’acqua.
   L’acqua è protagonista di una delle realtà più note ed importanti per noi cristiani e cioè del Santuario della Madonna di Lourdes. Ogni giorno, una vera e propria folla di ammalati, provenienti da ogni parte del mondo, attende di potersi bagnare in una delle sedici piscine alimentate dalla sorgente che la Vergine stessa fece sgorgare dalla roccia durante una delle apparizioni a Bernadette Soubirous nel  febbraio 1858. Da allora, l’acqua di Lourdes ha fama di essere miracolosa. Si calcola che circa 100 milioni di ammalati abbiano cercato la salute in quelle acque benedette. Ed è impossibile sapere quanti siano guariti. Negli archivi del Santuario si conservano innumerevoli dichiarazioni scritte da persone  che affermano di aver ottenuto grazie prodigiose bagnandosi con quell’acqua. Ma anche in numerosissimi altri santuari mariani si trovano acqua che hanno fama di essere guaritrici e quindi è spontanea la curiosità di sapere se l’acqua di questi posti sia davvero “speciale”, se contenga davvero delle qualità fuori dal comune.
   Le autorità ecclesiastiche non hanno mai affrontato ufficialmente l’argomento. Si attengono alla storia, riferendo nelle loro relazioni i fatti accaduti, ma senza dare giudizi o valutazioni. In tempi recenti però, nell’ambiente scientifico si sono affermate nuove tecniche di ricerca. All’inizio erano rifiutate ma poco a poco sono state prese in considerazione e alcune anche accettate ufficialmente. E le acque di alcuni santuari, esaminate con queste nuove tecniche, hanno dato risultati stupefacenti, dimostrando di essere sul serio “speciali”, di avere dei poteri straordinari atti a portare oggettivi benefici ai chi ne fa uso.
   Una delle ricercatrici che da anni si dedica allo studio delle caratteristiche delle acque dei celebri santuari con tecniche innovative, è la biologa italiana Enza Ciccolo. Laureata all’Università di Pisa, ha fatto pratica di ricerca in vari Laboratori di Università italiane, e all’Istituto Mario Negri di Milano, per poi emigrare in Francia per seguire la scuola del famoso professor Paul Nogier, neurofisiologo di Lione, medico geniale che ha affrontato studi d’avanguardia su varie branche del sapere medico, facendole diventare prassi di diagnostica preventiva. Celebri le sue ricerche sull’auricoloterapia e sui benefici delle frequenze cromatiche della luce.
   <<Sono rimasta a Lione con il professor Nogier per sette anni>>, mi ha spiegato la dottoressa Ciccolo quando sono andato a trovarla nel suo studio di Milano. <<MI sono appassionata soprattutto alle sue tecniche e teorie riguardanti i benefici della luce sul nostro corpo. E in seguito, applicando queste teorie alle acque dei santuari, ho scoperto che esiste un rapporto molto stretto tra le reazioni benefiche che la luce apporta al nostro organismo e quelle prodotte dalle acque dei santuari mariani.
   <<Ogni organo del nostro corpo, ogni tessuto, ogni cellula, è influenzato dalle diverse frequenze della luce, che noi vediamo sottoforma di diversi colori. Sulla pelle abbiamo dei recettori sensibili a quelle frequenze e questi recettori, una volta captata la frequenza, la trasmettono ai vari organi vitali sotto forma di messaggio biochimico. Dobbiamo tenere presenti che le malattie sono prima di tutto “degli squilibri vibrazionali” e possono essere curate “ripristinando l’equilibrio” mediante le frequenze della luce. E’ possibile fare questo attraverso filtri colorati, come quelli che si usano per gli obiettivi fotografici. Si mettono sulla pelle, si illuminano, ed essi trasmettono al fisico la frequenza tipica del loro colore. E’ una prassi che si ispira a discipline mediche orientali, come l’agopuntura, e che per tanto tempo è stata, qui in Occidente, derisa. Ma oggi è ufficialmente accettata dal mondo medico,  grazie ai numerosi studi scientifici che hanno evidenziato l’influenza dei colori sul sistema nervoso, immunitario e metabolico. Ebbene, io ho voluto esaminare le acque di alcuni santuari mariani applicando le teorie della cromoterapia ed ho constatato che queste acque agiscono come i filtri colorati. Con la differenza che ognuna di esse contiene tutte le frequenze della luce, quindi tutti i benefici dei sette colori.
   <<La prima ricerca in questo senso è stata eseguita sull’acqua di Lourdes. Ricordo che andai al santuario e rimasi sconcertata nel vedere tutta quella gente che si immergeva nelle piscine. Era gente di tutti i tipi, chi con malattie, chi con piaghe sul corpo e io mi chiesi: chissà quanti batteri deve contenere quell’acqua? Decisi di analizzarla. Ne portai un campione nel mio laboratorio e vidi che era piena di organismi patogeni, ma che questi erano diventati innocui, non erano più aggressivi. Facendo un esame spettroscopico, constatai che in quell’acqua erano presenti tutte le frequenze della luce, cosa che di norma non si riscontra mai. Ed erano proprio quelle frequenze perfette, straordinarie, potenti, che impedivano ai germi patogeni di agire, di nuocere. Era come se avessero perduto la “necessità” di essere aggressivi. Ecco perché i malati possono immergersi in quell’acqua senza pericolo di un contagio.
   <<Dopo Lourdes, ho esaminato le acque della fonte di Montichiari, cittadina che si trova tra Mantova e Brescia. Lì, in una località chiamata Fontanelle, la Madonna apparve nel 1966 a Pierina Gilli. La Vergine benedisse le acque sorgive di quella zona. Si può leggere tuttora una targa che dice: “Qui il 17 aprile 1966, la Madonna, Rosa Mistica, si degnò posare i suoi piedi e, chinandosi, toccò con le sue mani l’acqua della fonte”. Ogni giorno c’è gente che viene perfino dall’estero a prendere quell’acqua. E tutti dicono di averne benefici straordinari. Anche le acque dalla fonte di Montichiari posseggono tutte le frequenze di luce, come quelle di Lourdes.
   <<Ho fatto ricerche pure al santuario di San Damiano, località che si trova vicino a Piacenza. Le apparizioni della Madonna iniziarono nel 1964 a una signora conosciuta col nome di mamma Rosa. Ad un certo momento, su indicazione della veggente, nel luogo dove avvenivano le apparizioni scaturì una sorgente che si rivelò subito “miracolosa”. A San Damiano arrivano ogni giorno pellegrini da ogni parte, e tutti corrono a bere quell’acqua. Ai nostri esami essa è risultata straordinaria. E’ un’acqua che agisce prevalentemente sulla corteccia cerebrale, cioè sulla parte più importante del nostro cervello, quella che presiede alla creatività all’intelligenza, all’immaginazione. E’ acqua che calma, che tranquillizza, libera dagli stati d’ansia. Viene detta anche “acqua del sonno”, perché favorisce un  sereno riposo notturno.
   <<Infine sono stata anche a Medjugorje, dove la Madonna appare tutti i giorni dal 1981. Lì non ci sono sorgenti o fonti miracolose e allora ho voluto fare un esperimento particolare e curioso. Con le ricerche già effettuate, mi ero convinta che, nel corso di un’apparizione della Madonna si sprigionasse una tale energia capace di modificare la natura energetica delle acque. E ho voluto vedere se questa intuizione avesse un fondamento. Sono andata a Medjugorje ed ho ottenuto il permesso di mettere alcuni recipienti pieni di acqua normale nel luogo dove avvengono le apparizioni. In seguito, ho esaminato l’acqua dei recipienti constatando che aveva acquistato tutte le caratteristiche di quella degli altri santuari mariani. Nel corso della visione perciò, l’acqua era stata trasformata, era stata “formattata” per usare un termine legato al computer. In seguito a quell’esperimento, ho avuto la possibilità di conoscere altre ricerche scientifiche compiute a Medjugorje da uno studioso americano. Si tratta del dottor Bouguslaw Lipinski di Newton, negli Stati Uniti. Convinto anche lui che al momento dell’apparizione della Madonna dovevano avvenire dei cambiamenti straordinari nell’atmosfera, ha voluto fare delle ricerche sull’aria della stanza delle apparizioni. Si è servito di uno strumento, l’“elettroscopio” creato originariamente per evidenziare radiazioni di origine nucleare. L’unità di misura dell’“elettroscopio” è il “milliRad per ora” (mR/hr). In genere, in un ambiente normale si possono trovare valori che vanno dallo 0 a 15 mR/hr. A Medjugorje, durante l’apparizione della Madonna, l’“elettroscopio” ha registrato invece valori altissimi: 100.000 mR/hr. Se quella energia fosse stata di tipo nucleare, le persone presenti sarebbero morte tutte.  Invece, era energia benefica. Il professore Lipinski l’ha chiamata “energia spirituale”. Le sue ricerche venivano così a confermare le mie. Quell’energia, di cui non sappiamo la natura né l’origine, è certamente quella che ionizza le molecole dell’aria e anche quelle dell’acqua>>.
   Volendo scrivere di ricerche sulle acqua considerate miracolose, ho avuto anche la fortuna di conoscere il dottor Masaru Emoto, medico e ricercatore scientifico giapponese, autore di uno studio davvero eccezionale, sempre legato all’acqua.
   Nato a Yokohama nel luglio 1943, Masaru Emoto, dopo aver lavorato per alcune società giapponesi come ricercatore nel campo delle medicine alternative, ora è a capo di un Istituto di ricerca da lui fondato dove, con altri scienziati giapponesi e americani porta avanti i propri esperimenti sull’acqua. Ha pubblicato alcuni libri che sono stati un grande successo in tutto il mondo. Ed ha compiuto singolari esperimenti nel mondo religioso.
   Il dottor Emoto ha messo a punto una particolare macchina in grado di fotografare i cristalli dell’acqua ghiacciata. Ha così documentato che, nel processo di solidificazione dell’acqua, i cristalli prendono forme diverse a seconda delle varie proprietà che l’acqua possiede e anche a seconda delle emozioni che essa percepisce “interagendo” con l’uomo e con l’ambiente.
   <<L’acqua risente dei pensieri positivi che le vengono inviati dalla persone presenti>>, mi ha spiegato durante il nostro incontro. <<Ho constato che l’acqua è soprattutto sensibile alle preghiere. In Giappone ho fatto degli esperimenti con risultati sbalorditivi. Nell’ottobre del 1997 ho condotto un esperimento sull’acqua del bacino di Fujiwara a Minatami-cho, nella prefettura di Gunma. Quel giorno l’acqua del laghetto era inquieta, turbolenta. Abbiamo prelevato subito un campione, per congelarlo e osservare poi i cristalli. Intanto il reverendo Kato Hoki, priore del tempio di Jyhouin, nella città di Omiya, cominciò a pregare stando sul bordo del bacino e dopo un’ora di preghiera l’acqua appariva più calma e anche più limpida. Prelevammo un nuovo campione, per congelarlo e osservarlo al microscopio. I cristalli dell’acqua prelevata prima della preghiera erano bruni, contorti, pieni di buchi e di separazioni; quelli dell’acqua prelevata dopo la preghiera erano bellissimi, pieni di equilibrio, con complicate forme geometriche.
   <<Il l 25 luglio del 1999 ho fatto un esperimento simile presso il lago Biwa. Questo lago, che si trova nella provincia di Shiga, è il più vasto del Giappone ed è anche un terribile esempio di inquinamento. Ogni estate la superficie del lago si ricopre di una strana specie di pianta acquatica, chiamata alga “kokanda”, che imputridisce e diffonde in tutta la zona un fetore quasi insopportabile. Quel  25 luglio, alle quattro e mezzo del mattino, ci siamo riuniti in 350 per pregare sulle sponde del lago. E il risultato è stato sorprendente. Quell’anno le alghe furono pochissime e il cattivo odore quasi inesistente. Del fatto parlarono i giornali. I cristalli dell’acqua del lago dopo la preghiera, erano bellissimi e continuarono ad esserlo per circa sei mesi.
   <<Io non sono cattolico, ma conoscendo la fama dell’acqua di Lourdes, ho voluto sottoporla alle mie ricerche. Ho fotografato i cristalli dell’acqua di Lourdes ghiacciata e quello che ho ottenuto è meraviglioso. Il cristallo di quell’acqua  ha una forma singolare, armonica, che dà una sensazione di gloria mistica. Nella nostra cultura giapponese usiamo la parola “hado” per intendere le vibrazioni di una energia estremamente sottile. Ebbene, l’acqua di Lourdes ha uno straordinario “hado” d’amore, capace di trasmutare l’odio in amore>>.

Roberto Allegri

lunedì 11 ottobre 2010

Prima della luce

Al mattino presto, prima ancora della luce, i rumori sono tutti di cristallo. E’ una dimensione di suono amplificato, nitido, perfetto. Il passo degli scarponi sull’erba verniciata di brina è croccante, ritmico. Anche il respiro è cadenzato, risuona negli orecchi e si esprime nel fiato che diventa fumo.
Il popolo degli alberi inizia il concerto di ogni giorno e mi avvolge di melodia. I merli dirigono l’orchestra, e poi gli storni gli vanno appresso. Fischi e zufoli, gorgheggi e trilli arrivano diretti dal bosco, aggrappati all’aria fredda come le note sul pentagramma. E’ impossibile non ricevere una lezione da chi inizia il mattino cantando, impossibile non rimanere colpiti dall’antico buonumore degli uccelli. Spiegano a voce alta che non importa se c’è pioggia o vento, neve o nebbia, sole o ghiaccio sui campi: è un altro giorno, un’altra occasione, un’ennesima speranza. Nemmeno quando scoppia il tuono del cacciatore, smettono di essere lieti. Neppure la paura che l’uomo col fucile sparge sulla campagna, come un veleno che si fa strada in un bicchiere d’acqua, può cambiare l’inno all’opportunità cantato dal popolo alato. E chi è in armonia col tempo che precede l’alba, non può non sentire gratitudine farsi strada nel proprio petto.
Se si è fortunati, al mattino presto, si scorgono in cielo sole e luna insieme. Entrambi deboli: uno perché si è appena svegliato, l’altra perché sta per addormentarsi. E’ territorio magico.
Io mi appoggio ai recinti, accendo il primo fumo e i cavalli mi si fanno attorno. Guardiamo tutti verso le due sfere nella volta, lassù. I due amanti che si cercano da sempre e che solo nell’aria sottile del mattino giovane, possono incontrarsi. Sole e luna. E il cielo che da nero diventa pian piano cobalto.
E’ un branco, quello del mattino presto. Fatto di cavalli e di un uomo con la barba avvolto nel giaccone. Loro annusano e frugano col muso che profuma di fieno. Io allungo la mano, avverto il bruciare dell’energia sottopelle, il fremere del sangue che è vita.

Io e il mio cavallo

Ho conosciuto il mio cavallo in un’afosa giornata di agosto. Mi sono trovato di fronte un enorme animale scuro, ombroso, diffidente. Un “criollo” argentino che badava poco alle persone ma gettava lo sguardo oltre il recinto, lasciandolo vagare nella campagna. Stava in un recinto che prima era un pollaio. Per entrare nella casupola che era il suo ricovero doveva abbassare il collo e passare per la piccola apertura. Pestava nel fango sudicio e nugoli di moscerini gli avvolgevano il muso. Lui scuoteva forte la testa per liberarsi. La criniera non poteva aiutarlo a cacciare gli insetti perché era tagliata corta, quasi rasata a zero all’uso argentino, così come la coda. Il pelo invece era lungo e folto e lo faceva sudare, attirando ancora di più i piccoli tormenti alati. Il cavallo portava addosso la pelliccia pesante. Era infatti arrivato da meno di un mese dal Sudamerica e laggiù stava soffiando l’inverno.
   Ho saputo che era stato picchiato, costretto con la violenza ad accettare la sella. Se provavo ad avvicinarmi, irrigidiva il collo possente e soffiava forte l’aria dalle narici e sembrava un drago pronto a vomitare fuoco. L’ho chiamato Rodin, come il famoso scultore francese, autore del “Pensatore”, vissuto tra il 1840 e il 1917. Ho visitato la sua casa museo a Parigi, ho messo i piedi dove l’artista aveva camminato, sul pavimento di legno chiaro, sbalzato a gobbe nei punti dove l’umidità ha reclamato il suo spazio. Ho ammirato la grazia e la forza delle sue statue, strappate alla durezza del marmo a colpi di genio e di scalpello. Le sculture erano accarezzate dalla luce che entrava dalle finestre, gli stessi angoli luminosi che aveva visto e scelto anche il maestro. E poi sono rimasto seduto all’aperto, nel giardino fitto di siepi, a fissare il famoso “Pensatore”, il capolavoro di Rodin. Una figura minacciosa, assorta, tesa nel meditare in modo così intenso da risultare un atto fisico, piegata su se stessa e con la fronte corrugata. Un uomo con le nuvole nell’animo. Nel vedere il mio cavallo per la prima volta, ho colto quella stessa espressione: nuvole gonfie di pioggia. Stava immobile, le narici aperte nel vento che si era alzato dai campi e portava sentore di temporale. Pareva una statua di bronzo.
   I primi tempi sono stati difficili. Rodin era chiuso in se stesso. Un enorme riccio flesso a palla, gli aculei rivolti verso il mondo. In solitudine. Nel recinto, incollava le orecchie alla testa e mi sfidava. Vedeva in me l’ennesimo uomo che voleva piegarlo.
   Ma la fiducia nasce dall’amore. Se volevo che il cavallo si fidasse di me, dovevo fidarmi di lui per primo. Così ho fatto, combattendo la sua paura con dedizione e affetti massimi. Donandogli tutto me stesso.
   Per un anno intero, tutti i giorni, sono stato con lui. Sotto la pioggia, la neve, col ghiaccio che cantava sotto gli stivali e creava arabeschi sui recinti. Col profumo di maggio e il cielo cobalto dell’estate, immerso nel vento che scende diretto dalle montagne. Il calendario per me non era più una risma di fogli appesi alla parete ma l’ho sentito correre sulla pelle.
   In tutti quei mesi, ho ascoltato il mio cavallo e soprattutto gli ho parlato, raccontandogli anche i miei sogni e quello che un giorno avremmo visto insieme. Mi sedevo per ore nel suo recinto a leggere, in attesa che la curiosità lo portasse verso di me. Ho spesso dormito nella scuderia, annusando il tepore di Rodin e ascoltando la musica che fa quando mastica il fieno. Volevo sapesse che ero lì.
   Poi, una mattina, all’improvviso ha mosso gli zoccoli nella mia direzione, si è avvicinato a testa bassa e ha frugato col muso nella mia barba. Mi sono sentito esplodere. Da quel momento siamo stati una cosa sola. Ogni giorno, non importa con che tempo, gli metto la sella e insieme scendiamo a tenere compagnia al fiume. Attraversiamo al galoppo campi e boschi così come passiamo nelle stagioni e dividiamo da fratelli albe e tramonti, il profumo dell’aglio selvatico e la canzone del vento, il volo di chi migra nel cielo di ferro e il tuffo degli svassi. E accanto a Rodin, sono diventato un uomo nuovo.